Gli iracheni accolgono l'avanzata dei marines con scene di giubilo E intanto negozi e palazzi vengono presi d'assalto e derubati Feste e saccheggi nel vuoto di Bagdad Buttata giù la statua di Saddam nel centro della città
Frigoriferi in spalla, fiori tra le mani. Fotografie di Saddam sfregiate, "good Bush, good Bush" nelle urla della piazza. C'è il saccheggio e c'è la festa tra le strade del centro di Bagdad dove stamane, nella ventunesima giornata di guerra, l'entrata dei soldati americani nel cuore della città, avvenuta senza trovare particolari resistenze, è stato il segno che il regime del raìs era allo sbando. Nessun soldato di Saddam in giro, solo il cigolio dei tank Usa a sottolineare il vuoto di potere lasciato da una ditattura al crollo. E il rumore di questo crollo non è solo metaforico: sulla gigantesca statua di Saddam a piazza del Paradiso gli iracheni si sono arrampicati, hanno attaccato un cappio al collo e legato l'altra estremità a un carro armato Usa. Una spinta, e il regime è briciole e polvere.
Tutto è iniziato da piazza Tahrir, nel centro di Bagdad, quando i tank Usa hanno occupato una serie di edifici simbolo del potere, come il quartier generale della polizia segreta. I Marines si sono spinti poi verso il vasto sobborgo di Saddam City (circa due milioni di abitanti, in maggioranza sciiti), a sud-est della città. E ancora più avanti e più a fondo, verso nord-ovest, in particolare nella zona di Ach Shaab.
Con la lenta e indisturbata avanzata delle forze alleate nel centro di Bagdad, una cosa è stata chiara a molti: che era il momento giusto per salutare come liberatori gli americani, e intanto sottrarre a Saddam quanto incamerato dal rais per anni, beni e ricchezze, ma anche semplici cose. E sono stati saccheggi che hanno interessato anche il quartier generale dell'Onu, preso d'assalto dalla gente senza alcun segno di presenza della polizia irachena. Stessa cosa al palazzo del Comitato olimpico, una sorta di quartier generale di Uday (figlio di Saddam), che è stato anche dato alla fiamme. Nel mirino anche i negozi, ma pure case private. Uomini, donne e bambini sono entrati nei palazzi di Saddam portando via qualsiasi cosa: divani, vasi di fiori, suppellettili e arredi vari. Ma anche auto pubbliche lasciate nei cortili dei palazzi presidenziali: chi non è riuscito a metterle in moto le ha spinte fino a casa. Tutto nell'assenza del freno delle autorità.
Vere e proprie scene di gioia, contemporaneamente, per le strade di Bagdad. Davanti agli obiettivi delle tv internazionali, il saluto delle due dita a "V" in segno di vittoria di fronte ai soldati americani. Canti, bandiere al vento, fiori e palme offerti ai militari Usa. Calpestati, schiacciati, strappati e dati alle fiamme quei mille volti del raìs che a Bagdad, per le strade, le case, i palazzi, per anni hanno sancito la volontà di presenza del dittatore.
Ma è la scena dell'assedio e del crollo della statua di Saddam a piazza Paradiso (el Ferdous) a sancire, con la forza dei simboli, il frantumarsi del regime. La folla sta attorno alla statua del dittatore eretta solo un anno fa nel centro di Bagdad, davanti all'hotel "Palestine", dove in questi giorni hanno abitato e lavorato i giornalisti di tutto il mondo. Il raìs, scolpito con la mano destra levata e lo sguardo all'orizzonte, svetta da un enorme piedistallo: la gente comincia a scalarlo dal basso, togliendo due targhe di bronzo sulla base. Qualcuno si toglie le scarpe e le lancia contro quel pezzo di bronzo. Altri lanciano sassi. La gente si arrampica, scala il monumento, lo imbriglia con grosse funi. Ai piedi della statua, la folla aumenta gridando "buttatela giù" e sventola fazzoletti mentre un carro armato americano, chiamato in soccorso dagli iracheni, si prepara all'abbattimento. Intanto un Marine si arrampica, e copre il volto del raìs prima con una bandiera americana, poi con una irachena. Arriva l'ultima spinta, il raìs crolla, la gente esulta e balla su un dittatore ridotto in macerie.
(9 aprile 2003)
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