Con riferimento ai dazi Trump sulle automobili, vi passo un interessante articolo trovato oggi sul Corriere:
Secondo il Wall Street Journal, quotidiano non ostile al presidente Usa, l'effetto dei dazi sui consumatori sarà pari a quello che avrebbe un aumento delle tasse di 150 miliardi di dollari l'anno.
Da quando li ha definiti «i più stupidi della storia», il Wall Street Journal - che pure è il più conservatore e meno antitrumpiano dei grandi quotidiani statunitensi - non si stanca di tentare di convincere Donald Trump, a suon di articoli ed editoriali, del perché i dazi, in particolare quelli contro Canada e Messico, saranno controproducenti per l'economia statunitense e, soprattutto, per i consumatori americani.
«Le tariffe sono tasse - si legge in un editoriale - e le ultime tariffe di Trump si stimano pari a un aumento delle tasse di circa 150 miliardi di dollari all'anno. Le tasse sono contro la crescita. Questo è il messaggio che gli investitori stanno inviando questa settimana, da quando Trump ha fatto entrare in vigore le tariffe del 25% contro Canada e Messico. (...) Le tasse alla frontiera, e l'incertezza che comportano, stanno pesando sulla crescita e sulla fiducia dei consumatori».
Dopo numerosi esempi di effetti indesiderati e controproducenti alle porte (dal rincaro di elettricità, carburanti e fertilizzanti agricoli a quelli della birra più venduta negli Usa, messicana), il Journal conclude: «L'euforia tariffaria di Trump è il trionfo dell'ideologia sul buon senso. Speriamo che il Presidente torni presto in sé».
Che cos'è «un'auto importata»? Il New York Times, da parte sua, ha provato a spiegare, con casi concreti, quanto sia difficile definire, ad esempio, cosa sia «un'auto importata»: una Toyota Rav4 importata dal Canada ha una gran parte dei componenti prodotti negli Stati Uniti, mentre in una Nissan Rogue assemblata negli Stati Uniti prevalgono quelli giapponesi (che, se colpiti dai dazi, faranno salire il prezzo). D'altra parte, come fa notare Sam Fiorani, vicepresidente della società di ricerca AutoForecast Solutions «i veicoli avrebbero prezzi ancora meno accessibili se tutte le parti fossero prodotte nello stesso Paese». Il Wall Street Journal, in un altro editoriale, aveva ricordato che Trump «ha avuto da ridire anche quando abbiamo riportato un'analisi dell'Anderson Economic Group, secondo cui una tariffa del 25% aumenterà di 9.000 dollari il costo di un Suv full-size assemblato in Nord America e di 8.000 dollari quello di un pick-up. È così che il nuovo Partito Repubblicano intende aiutare gli elettori della classe operaia?».
Sarà un caso, ma ieri è arrivata, dalla portavoce della Casa Bianca Karoline Leavitt, la notizia che gli Stati Uniti fanno slittare di un mese i dazi sulle auto per Canada e Messico.
La filiera e l'aumento dei prezzi Su Avvenire prova a illustrare più o meno gli stessi concetti, in un editoriale, anche l'economista Leonardo Becchetti: «Viviamo in un mondo profondamente interdipendente, dove in ogni filiera si arriva al prodotto finito venduto ai consumatori dopo un gran numero di passaggi di frontiera di materie prime o semilavorati. Nel caso specifico la divisione del lavoro è tale che le auto americane sono assemblate in gran parte in Messico, mentre il petrolio americano è raffinato in Canada. I dazi americani danneggeranno pertanto gli stessi Stati Uniti, aumentando i prezzi di prodotti realizzati in filiere solo in parte modificabili e sostituibili. (...) Gli effetti dei dazi sono molteplici e complessi. Per prodotti di alta qualità consumati da fasce medio-alte di reddito (come formaggi e vini italiani) la domanda è piuttosto inelastica, e dunque i dazi si risolvono in aumento dei prezzi di prodotti che gli americani comunque compreranno, generando così tensioni inflazionistiche. Solo nel medio termine, se mantenuti in vigore, i dazi producono una ristrutturazione delle filiere. È il caso di quelli sulle auto cinesi. Ma come nel caso dell’analoga imposizione sulle vetture giapponesi negli anni Ottanta, in questo caso i dazi fanno nascere le “fabbriche cacciavite” in Europa, dove si assemblano le stesse auto cinesi per aggirare il pagamento. Un altro effetto di medio termine è la ricomposizione dei flussi commerciali, che rinforza le relazioni tra Paesi colpiti riducendo invece export e import del Paese che applica le tariffe. I dazi sono dunque un pessimo affare sia per chi li impone sia per chi li subisce: riducono gli scambi e fanno aumentare i prezzi dei prodotti».
L'effetto: rallentano crescita e investimenti L'Economist, in proposito, fa notare che «dato che l'aumento dei prezzi pesa sui consumi e sull'industria manifatturiera, i dazi, secondo gli analisti della banca Morgan Stanley, potrebbero togliere un punto percentuale al tasso di crescita dell'America. Le misure dell'incertezza riguardo la politica commerciale hanno anch'esse fatto segnare un'impennata, il che significa che le imprese potrebbero trattenersi dall'investire».
Visto però che, avvertimenti degli economisti o no, Trump è decisissimo ad andare avanti per la sua strada (in sintesi «se vendi i tuoi prodotti all'America ti metto i dazi, se invece vieni a produrli qui ti taglio le tasse», come ribadito più volte nel discorso davanti al Congresso), come si può reagire? Nell'intervista con Cesare Zapperi, il presidente della Regione Veneto (grande esportatrice verso gli Usa) Luca Zaia ha parlato dei dazi come di un «flagello», ma ha aggiunto: «Se [Trump] ipotizza dazi al 25% probabilmente il punto di caduta vero è un altro. Del resto, lo ha detto lui stesso alla Casa Bianca a Zelensky: “Non ho mai fatto un affare senza un compromesso”. Quindi, l’Europa, che con i suoi 450 milioni di abitanti rappresenta il mercato più florido al mondo per gli Stati Uniti, deve essere consapevole che ha le sue carte da giocare. A una condizione. Deve presentarsi unita di fronte a Trump. Non ha senso che i singoli capi di governo o di Stato si presentino da lui per condurre trattative singole. Nessuno da solo ha la forza di trattare da pari a pari».
La risposta canadese e quella cinese Becchetti aggiunge qualche altro suggerimento: «I dazi di Trump possono e devono risolversi in prospettiva in un nulla di fatto se eviteremo l’approccio accondiscendente (pessima ad esempio l’idea di ipotizzare acquisti di gas liquido e armi solo per placare il partner americano) e adotteremo invece quello fermo come nel caso della risposta di Macron, che si allinea a quella di Trudeau. Esiste una terza strategia, quella cinese: rispondere con contro-dazi di entità molto inferiore per dissuadere gli Stati Uniti dal proseguire, cercando di mantenere un contesto di armonia e di buone relazioni (una risposta in stile Confuciano). L’appello canadese al “non comprare americano” è un esempio di come anche la società civile può dissuadere Trump dai suoi propositi».
Fonte: https://www.corriere.it/esteri/25_marzo_06/trump-dazi-stupidi-acbc2088-5276-4172-8843-811bb6530xlk.shtml?refresh_ce
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